Di gentilezza, buona educazione e vaffanculo non detti

Saluta. Di’ grazie. Non usare questo tono. Guarda che la signora ti ha fatto un favore, ringrazia. E su, porta pazienza. Vedi quello che sbraita? È un gran maleducato, così non otterrà nulla. Sii comprensiva. Non disturbare. Stai calma. Passa oltre. È vero che quella persona non è simpaticissima ma sopportala, che ti costa per un giorno? E poi, se sei gentile, tutti ti apprezzano. Se fai del bene, ti torna sicuramente indietro. Te che sei più matura, passa oltre.

E vaffanculo un po’.

Bene, fatta questa doverosa premessa, portiamo fuori dal dimenticatoio questo blog e buttiamoci un nuovo post che parla di buoni sentimenti proprio alle porte del Natale.

Ma, soprattutto, di vaffanculo.

Al solito è tempo di organizzarsi coi regali

Per i parenti, gli amici (a proposito: ne ho parlato qui l’anno scorso) ma anche e soprattutto per sé stessi. E siccome a me stessa ci ho pensato poco e niente in passato, desidero farmi un regalone perché si, io sta selva di vaffanculo che sto per tirare me la sono proprio ma proprio meritata.

Ma andiamo con ordine!

Ho deciso oggi di smontare uno ad uno i buoni insegnamenti che tanto mi hanno forgiata nel passato e di sostituirli con un ben più consono e terapeutico vaffanculo, ovviamente argomentando ma soprattutto portandovi degli esempi di vita vissuta a sostegno della teoria del vaffanculo-state-of-mind.

Te che sei matura, sopporta

Partiamo dal leitmotiv classico di quando andavo alle medie e mi ritrovavo vessata dall’accoppiata “oche della classe – alunni con scarso rendimento scolastico”.

D’accordo, ne parlo spesso, passa oltre (c’è un paragrafo apposta anche per questa falsa verità, Ça va sans dire). ma è giusto dirvi che, da figlia, questa frase è una condanna a morte.

Passa oltre” vorrebbe dire che sei grande abbastanza per soppesare le parole dei tuoi coetanei e capire che quelle di un minus habens hanno più senso, al confronto. Inoltre dai anche una falsa aspettativa, tipo io mi sono vista erroneamente matura per anni per poi ricredermi al primo weekend con la compagnia delle superiori, in una cabina telefonica, a chiamare gente a caso imitando la Lolita della Littizzetto (esattamente nel momento in cui esclamai “facciamo un barbeque? Tu metti la barba ed io il cü!”, facendo girare mezzo viale Garibaldi).

Ecco, a undici, dodici anni non sei grande abbastanza e non sai manco cosa significhi essere maturi. E onestamente non dovrebbe essere nemmeno un obiettivo essere delle persone serie e complete, alle medie.

Ma io mi sono aggrappata a quello, sicuramente molto meno faticoso che non alzarsi, dirigersi al banco del minorato di turno e sferrare un manrovescio.

No, i miei non erano per niente del partito “evvabbé signora, so’ regazzini” e probabilmente ne avrei ricevuto uno indietro ma ad oggi son fermamente convinta che ne sarebbe valsa la pena.

E se temete per la vita sociale di una ragazzina che per una volta va di violenza, posso dire: tranquilli. L’unica mia compagna alla quale ho rifilato una gomitata per esasperazione è, ad oggi, una delle persone più care che ho.

Il bene che fai poi ti torna indietro

Pura menzogna perpetrata da anni di catechismo e incontri di azione cattolica, mostra due grossi punti deboli.

Anzitutto: il bene non si fa per ricevere qualcosa indietro. Altrimenti è un contratto, uno scambio o un accordo alla pari. Questo aspetto sfugge davvero a tanti, troppi individui, il che porta a inevitabilmente a faide e liti furiose nei momenti meno opportuni, tipo pranzi di Natale o matrimoni, dove zia Reginalda pretende di scegliere menù e tovagliato perché ventordici anni prima ti aveva portato a un concerto dei Neri per Caso.

Secondo: ahahahahahahah. No, davvero, ahahahahahahah. Sono stata ad ascoltare sfoghi di coppie amiche in crisi che, risolto tutto, sono spariti nel nulla o mi hanno liquidato velocemente al primo “come va?”; ho accolto scleri e rispostacce da giovani pulzelle in evidente astinenza da pisello per poi scoprire che non era la mancanza di una sana vita sessuale, il problema, piuttosto un corredo genetico alquanto acido; ho spostato pianoforti, disegnato loghi in piena notte per associazioni che non hanno mai n’euro manco per il caffè, seguito soporiferi incontri su letture religiose che sfociavano in invettive contro la società moderna senza sani valori (quando la sveglia sarebbe suonata alle sei e mezza del mattino), montato videoclip, sprecato soldi in salette per provare i soliti pezzi triti e ritriti coi soliti erroracci, ritagliato pipistrelli con la tinta che asciugava in testa, dato passaggi, percorso chilometri, impegnato weekend, sacrificate ore e prosciugata la pazienza per amenità varie SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per fare un favore perché mannaggialoro mi hanno insegnato a mettermi nei panni degli altri.

Ma tranquilli: col tempo si smette.

Altrimenti è sadomasochismo.

Eh ma io sono fatta così, cosa posso farci?

Mi scappa ancora un urlo di esasperazione al pensiero di sentirmi dire di nuovo qualcosa del genere.

“Eh si. Ho stampato una nostra chat privata e mostrata a tutti, anche a chi non ti conosceva, perché hai osato dirmi che sono pesante e parlo sempre male di chiunque! E cosa ci posso fare, sono fatta così”.

“Eh vabbé, come ti giri parlo male anche dei tuoi premolari, ma cosa ci posso fare, ti voglio bene ma sono fatta così”.

“Si, so che non mi sono fatto sentire per anni, sparendo all’improvviso e tornando altrettanto casualmente pretendendo amore incondizionato ed una serie di accolli per nulla simpatici, ma sono fatto così, cosa mai posso farci?”.

La soluzione sarebbe prendere una mazza chiodata, percuoterla violentemente sul capo delle persone e poi rispondere magnanimamente: “Oh, scusa, ti ho fatto troppo male? Pace, sono fatta così“. Ma purtroppo non è legale.

Il vaffanculo invece, ode a chi lo ha inventato, è legalissimo e fonte di liberazione.

Sii gentile anche se gli altri non lo sono.

Non lo so perché uno debba insegnare una cosa del genere ai propri figli, nipoti, alunni o discepoli. Davvero. Tanto vale dire loro di mettersi una scopa in culo e ramazzare la stanza.

Che poi non ci si deve necessariamente caricare un lanciarazzi sulle spalle e sparare su chi non saluta entrando in ufficio, l’intelletto umano è in grado si sviluppare ironia e sarcasmo, perché non coltivarli giorno per giorno? È così bello rispondere “sto cazzo” quando ti chiedono di fare qualcosa e non aggiungono neanche un “per favore” a fine frase! Abbracciate anche voi questa filosofia di vita e non ve ne pentirete.

Ah no, sul lavoro non vale.
Lo stipendio serve ed i clienti hanno sempre ragione.

(Ma attenzione: sul lavoro. Se li trovate fuori… fate un po’ come volete).

Non disturbare i signori, lo vedi che sono impegnati?

Questo insegnamento ha avuto un’unica, fatale conseguenza su di me: ho sprecato ore di vita in coda ad aspettare che la gente si accorgesse della mia presenza.

Per dire, sono entrata in uffici salutando con “buongiorno” e attendendo in piedi, fumando per il treno che stavo per perdere o per il tram che avrei dovuto prendere e che stava già filando a Porta Susa, scampanellando sotto le finestre.

Attendevo fiduciosa anche quando gli impiegati, davanti a me, si stavano raccontando della Juve e dei rigori non concessi , proprio perché “magari è fino adesso che lavorano duro, sicuramente ora finiranno di tessere le lodi a Chiellini e si accorgeranno di me e delle altre ventisei persone che aspettano”. Poi qualcuno da dietro, dopo avermi lanciato un’occhiataccia per la mia mancata intraprendenza, domandava se i lor signori avessero finito di farsi i cazzi loro e della Juve e si degnassero di cagarci.

E la colpa qui è anche di mia madre, perché se mio padre richiamava l’attenzione con metodi più da maschio alfa, lei, da dietro, lo intimava con “Maritooooo, daiiiii”; secondo voi, una bambina cosa ne deduce? Che il papà ha sbagliato mentre no, papà ha ragione e dovrebbe tenere dei seminari su come imbruttire i lavativi pagati con le nostre tasse.

E dai, che ti costa sopportare quella persona? Per un solo giorno poi!

Dicono quelli che non dovranno mai ospitare a casa propria Eloisa Maiunagioia, parente acquisita nota per asciugarti con le sue lamentele su quanto faccia schifo la sua vita e capitino sempre tutte a lei.

E anche lì, le mie radici di bambina casa-chiesa-oratorio si fanno sentire pesantemente: che ti costa? Era la frase che la catechista soleva pronunciare ai bambini che sedevano di fianco allo scoreggione della classe. Vuoi mica discriminarlo perché emette peti mefitici? Vuoi che sviluppi dei traumi infantili con le prese in giro? E su, per un’oretta di catechismo che tra l’altro le finestre hanno millemila spifferi e c’è un ricambio d’aria.

Ovviamente suor Ermenegilda era da tutt’altra parte del tavolo, eh. La coerenza.

Così, quando si prospettavano incontri con persone orribili nell’animo o che semplicemente non avevano nulla in comune con me, mi immolavo convincendomi di essermi guadagnata l’ingresso vip tra i primi martiri cristiani.
Eh, lo so, quant’ero babba.

Ci sono volute le sedute dall’analista per capire che NO, non mi sarei guadagnata niente e che tanto suor Ermenegilda non sarebbe mai resuscitata per dirmi “che ti costa?“.

E insomma, ne avrei ancora da raccontare

Ma mi rendo conto che più vado avanti a ricordare, più resto basita e sale pure un po’ di binge eating consolatorio (ed essendo a dieta, mi mancherebbe troppo il sostegno morale del junk food).

A volte capita di maledire un po’ il mio passato da brava bambina che nulla chiede e tutto sopporta, poi penso al presente e finalmente apprezzo quello che sono adesso: un perfetto equilibrio tra buone maniere, vaffanculo e stocazzo.

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.