Di paesanottitudine e giornalismo

Attenzione: essendo i fatti narrati accaduti realmente, cercherò di toccarla piano e fare in modo che si riesca a leggere tra le righe nessuno capisca chi sono i tizi che si fan su due soldi copiando cose da internet , giornalisti ed il giornale coinvolti. 
Ho detto "cercherò" eh, non garantisco.

Il mondo del giornalismo, nei piccoli centri di provincia, è generalmente diviso in due categorie: quelli che lo fanno di mestiere e i giornalisti-wanna-be.

Nella prima categoria rientrano professionisti iscritti all’albo o per lo meno laureati in scienze umanistiche che sanno distribuire coscienziosamente punteggiatura e H in un testo, informati (quasi sempre) sui fatti e le cui entrate economiche dipendono esclusivamente da questa attività. A loro va tutto il mio rispetto.

La seconda invece è un curioso sottobosco di dopolavoristi, persone che “avrei voluto farlo di mestiere ma…” o, più semplicemente, amici di amici che si sono offerti per fare gli inviati del proprio piccolo centro urbano a cui, solitamente, viene chiesta la qualunque pur di poter riempire gli ultimi spazi vuoti sul giornale.
A volte sono persone serie, a volte no.

Il problema è che, prima o poi, arriva il momento in cui quest’ultima categorie serve.

Tipo che c’è un concerto da pubblicizzare e, per una volta tanto, faccio quello che tutti normalmente fanno: contattano qualche conoscente che scriva per le suddette testate e chiede se è possibile scrivere due righe (ma proprio due di numero) sul coro che si esibirà, il locale che lo ospiterà e l’ora dello spettacolo.

Frasi da principianti dell’analisi logica: Soggetto-Verbo-ComplementoOggetto.
Toh, un aggettivo se proprio ogni tre, quattro frasi.

Per una volta tanto ho dei ganci che fanno al caso mio e, con la scusa di una cena tra amici, spiego all’amico giornalista (serio) cosa mi serve.

Così, davanti ad una ciotola di sashimi, ottengo la mail del responsabile della sezione spettacoli.

Lo scambio di mail è breve e conciso e non lascia spazio a dubbi su quale tipo di giornalista io sia incappata: “guarda, scrivimi tu quello che vuoi venga pubblicato” ergo “l’articolo te lo fai da sola, io copierò e incollerò ma verrò ugualmente pagato dal giornale (è una prassi, lo so, ma a questo punto voglio metà del compenso, fossero anche cinque euro).

E così metto giù, con un’altra persona coinvolta nell’evento, qualcosa che possa passare come comunicato stampa.

Ricontrollo il testo, la chiarezza dei contenuti e la grammatica: si, posso inviarlo. E aspetto. Siccome già in passato avevo provato a far scrivere due righe su eventi (sempre tramite un altro giornalista, ma di li a poco avrei capito che pur di baccagliare si promette qualsiasi cosa) senza ottenere risultati, mi rassegno: infondo è novembre, ci saranno gli articoli dei concerti del mese più le anticipazioni di quelli natalizi, saggi, spettacoli nei teatri.. e già solo Vercelli città ha una marea di cose.

Poi madre mi avvisa: è uscito l’articolo!

Molto felice, me lo faccio leggere.
Lei legge.
Arrivata alla fine, ringrazio e saluto.
Controllo di aver chiuso la telefonata.

E mi trovo a dover decidere se:

Staccare il calendario, scegliere il mese e tirare giù in ordine cronologico i santi; scrivere alla redattrice della sezione spettacoli e sacramentare dopo; sacramentare prima, by-passare la sezione spettacoli e scrivere direttamente al direttore o –classico e collaudato– sguinzagliare gli informatori, scoprire chi ha scritto l’articolo e rigargli la macchina.

Per sicurezza mi faccio mandare la scansione dell’articolo e la confronto incredula con la mia mail: non solo non si è minimamente cagato quanto ho scritto (le date dei concerti, che erano il motivo principale per cui avevo fatto scrivere l’articolo, non comparivano) ma quel poco che è stato scritto è completamente fasullo, inventato.

Le esperienze della mia socia passano da “anni di esibizioni live alle spalle, di cui dieci in un coro gospel” a “da tempo si esibisce con alcune band, tra cui *nome coro gospel col quale ormai non canta da tre-quattro anni*, formazione che propone musiche afroamericane”; il coro femminile diventa un gruppo al maschile; io passo da “studentessa di canto lirico” a “esperta di canto lirico”, roba che se avesse letto il mio insegnante di canto mi avrebbe crocifissa in sala mensa e i chitarristi da due passano a tre, flautista presente nel coro (e pure nella foto allegata) non pervenuta.

Fiore all’occhiello di questo romanzo fantasy è, infine, la frase: “può capitare di ascoltarli (si, al maschile, la dicitura “coro femminile” non credo sia stata proprio considerata) spesso al *nome locale dell’evento*, dove sono di casa” (era il nostro secondo concerto).

Niente riguardo la data, l’indirizzo del locale, insomma, la mia mail probabilmente era stata cestinata e da lì si era lavorato di fantasia.

Perché il paesanottismo è così, permea anche il mondo del giornalismo

Che io capisco, la provincia è ricca di paisanot che vorrebbero un articolo da Pulitzer solo per aver spazzato davanti al proprio ingresso, di aspiranti stindaci, assessori, consiglieri, professionisti o “artisti” (categoria nella quale finisce un’ampia gamma di personaggi folkloristici) che vogliono essere dipinti come gli eroi Marvel. Capisco anche che spesso gli argomenti scarseggiano e c’è un buco nella sezione spettacoli da riempire.

Però a me questo meccanismo non è mai piaciuto, per il semplice fatto che per quanto ti possa far incensare su un articolo poi la provincia è piccola, si fa in fretta a conoscersi ed è un attimo diventare cazzari.

Non resta che scrivere al direttore e alla responsabile della sezione spettacoli

Sperando in non so cosa, poi. Faccio presente gli errori e soprattutto l’inutilità di un articolo che avrebbe dovuto promuovere un concerto e che di tutto parla, meno che di quello.

La risposta del direttore è un diplomatico “porta pazienza, anche noi giornalisti ogni tanto facciamo cazzate”, ergo “si, hai ragione, ma vuoi mica che ammettiamo pubblicamente che gli articoli di minore importanza si facciano copiaincollando vecchie notizie prese dal web e rimaneggiando a culo i comunicati stampa?”.

La risposta della sezione spettacoli è invece una mail piena di rimostranze nei miei confronti sostenendo che è normale abbellire i particolari (cito la migliore: “la differenza tra coro e gruppo musicale è soggettiva”), non capisce questo timore di passare per una buffona, anzi, sono proprio un’ingrata per non aver apprezzato quello che doveva essere “un bell’articolo“.

Ah, ovviamente nessuno prende in considerazione una errata corrige.

Che mi sia di lezione, questa esperienza di giornalismo e paisanottitudine

Il giornalista “gancio” che compare all’inizio della storia, sempre davanti a un piatto di sashimi, mi conferma che chi ha scritto l’articolo appartiene alla seconda categoria e che, quando i comunicati vanno in mano ai dopolavoristi, spesso c’è da aspettarsi esiti nefasti.

Poi mi dico amen, non sarà un articolo inventato a rovinare una serata e la reputazione di un coro appena nato (il locale sarà poi pieno e, seppur con inconvenienti tecnici, ansia e filu ‘e ferro a volontà, sarà un successo).

Avviso solo il proprietario del locale che non ho certo chiesto io di scrivere che siamo suoi ospiti fissi (carina la sua risposta: “ma tanto io quei giornali non li leggo”) e mi sfogo con un conoscente, anche lui articolista presso lo stesso giornale.

Il quale, a fine discorso, mi fa’:

-E beh? Che problemi ti fai? Infondo è tutta pubblicità…-.

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.